mercoledì 14 ottobre 2009
Dinastia Avril de Saint Genis Buren Anjou Bourcane Khan , discendenti di Federico II e Gengis Khan
http://utenti.lycos.it/fridericus/bende%20yasmin.htm
Discendenza
da
GENGIS KHAN della Dinastia Avril de Saint Genis Burey Anjou de Bourcane ou Buren Khan- de Buren Khan Yussupov)
Khan, il suo nome originario era Temujin, fondatore dell'impero mongolo, nacque da Yesugei , capo di una tribù mongola.Sposatosi a 17 anni mostrò le proprie qualità e intraprese ancora giovane la sua opera egemonica di unificazione delle popolazioni della Mongolia.
Con l'aiuto di Khan dei Kerait (popolazione turco-mongola della Mongolia centrale), sconfisse i Turchi che occupavano la zona del lago di Bajkal, ricevendo per questa impresa il soprannome di Gengis Khan. Unificata così la Mongolia sotto il comando della propria famiglia, gengis Khan si dedicò all'espansione dei propri domini, estendendo il proprio potere su vaste aree della Cina dell'Azerbaigian e Afghanistan. Condottiero abile e audace, crudele e spietato nelle sue azioni di guerra, Gengis Khan dimostrò anche notevoli doti di legislatore e diplomatico emanando un corpo di leggi che regolarono la vita di tutte le popolazioni a lui soggette secondo un rigido criterio militare. Subì il fascino della cultura cinese e musulmana e strutturò le sue leggi tenendo presenti i modelli di civiltà più avanzate. Così, grazie al suo talento militare e alla sua capacità amministrativa, creò un immenso impero che alla sua morte si estendeva dal mar Caspio al Mar Cinese, dalla persia alla Siberia meridionale.
Discendenza Gengis Khan
(Cingiz Qan, Temujin, 1155? - 1227). Fondatore dell'impero mongolo. Figlio di Yesugei, capo dei mongoli kiyat, sposò la figlia di Toghrul, khan della tribù turco-mongola dei kerait di cui divenne vassallo e per il quale assunse la guida dell'esercito, sottomettendo numerose tribù. Liberatosi dalla dipendenza verso Toghrul, nel 1203 divenne signore dei kerait e l'anno dopo sconfisse i tartari naimani. Una dieta panmongolica (kuriltay) lo proclamò nel 1206 Gran khan dei mongoli col nome di Gengis Khan (khan oceanico, o universale) con l'adesione di numerosi clan e popolazioni turche e mongole che ne accrebbero l'autorità e i domini. Nel 1221 avviò quindi la realizzazione del grande progetto di conquista della Cina. Conquistata, dopo un lungo assedio, Pechino nel 1215 lasciò l'impresa (portata a termine solo da Kubilai Khan nel 1279) ai luogotenenti e si rivolse verso l'Occidente. Concentrato nel 1219 il suo esercito sull'alto corso dell'Irtys, in breve tempo prese Bukhara, Samarcanda e numerose altre importanti città e portò a termine la conquista dell'intero Iran orientale, del Khorasan e dell'Afghanistan. Dopo aver sconfitto anche l'avversario più tenace, lo shâh del Khorezm si ritirò verso oriente lasciando ai due suoi generali, Jebe e Subotai, la prosecuzione delle operazioni verso occidente. Questi si spinsero verso la Russia meridionale, vincendo ogni resistenza e sconfiggendo sul fiume Kalka, nel 1223, la federazione dei principi russi, per poi ricongiungersi, passando a nord del Caspio e dopo aver devastato la Crimea e i territori degli Urali, con Gengis Khan. Egli però morì improvvisamente nel 1227, quando si accingeva a terminare la conquista dell'impero cinese. Spesso dipinto dalle fonti letterarie come esempio di crudeltà e di forza devastatrice, Gengis Khan mostrò in realtà una notevole abilità politica, conferendo unità e stabilità a un'organismo statuale gigantesco ed eterogeneo, riconoscendo il valore della civiltà delle popolazioni vinte (e utilizzandone molti elementi nell'ambito del governo), mostrando un atteggiamento tollerante verso le diverse convinzioni religiose e aprendo la possibilità, attraverso la pax mongolica instaurata nel suo impero, di una fertile comunicazione tra civiltà d'Oriente e d'Occidente.
Discendenza
da
GENGIS KHAN della Dinastia Avril de Saint Genis Burey Anjou de Bourcane ou Buren Khan- de Buren Khan Yussupov)
Khan, il suo nome originario era Temujin, fondatore dell'impero mongolo, nacque da Yesugei , capo di una tribù mongola.Sposatosi a 17 anni mostrò le proprie qualità e intraprese ancora giovane la sua opera egemonica di unificazione delle popolazioni della Mongolia.
Con l'aiuto di Khan dei Kerait (popolazione turco-mongola della Mongolia centrale), sconfisse i Turchi che occupavano la zona del lago di Bajkal, ricevendo per questa impresa il soprannome di Gengis Khan. Unificata così la Mongolia sotto il comando della propria famiglia, gengis Khan si dedicò all'espansione dei propri domini, estendendo il proprio potere su vaste aree della Cina dell'Azerbaigian e Afghanistan. Condottiero abile e audace, crudele e spietato nelle sue azioni di guerra, Gengis Khan dimostrò anche notevoli doti di legislatore e diplomatico emanando un corpo di leggi che regolarono la vita di tutte le popolazioni a lui soggette secondo un rigido criterio militare. Subì il fascino della cultura cinese e musulmana e strutturò le sue leggi tenendo presenti i modelli di civiltà più avanzate. Così, grazie al suo talento militare e alla sua capacità amministrativa, creò un immenso impero che alla sua morte si estendeva dal mar Caspio al Mar Cinese, dalla persia alla Siberia meridionale.
Discendenza Gengis Khan
(Cingiz Qan, Temujin, 1155? - 1227). Fondatore dell'impero mongolo. Figlio di Yesugei, capo dei mongoli kiyat, sposò la figlia di Toghrul, khan della tribù turco-mongola dei kerait di cui divenne vassallo e per il quale assunse la guida dell'esercito, sottomettendo numerose tribù. Liberatosi dalla dipendenza verso Toghrul, nel 1203 divenne signore dei kerait e l'anno dopo sconfisse i tartari naimani. Una dieta panmongolica (kuriltay) lo proclamò nel 1206 Gran khan dei mongoli col nome di Gengis Khan (khan oceanico, o universale) con l'adesione di numerosi clan e popolazioni turche e mongole che ne accrebbero l'autorità e i domini. Nel 1221 avviò quindi la realizzazione del grande progetto di conquista della Cina. Conquistata, dopo un lungo assedio, Pechino nel 1215 lasciò l'impresa (portata a termine solo da Kubilai Khan nel 1279) ai luogotenenti e si rivolse verso l'Occidente. Concentrato nel 1219 il suo esercito sull'alto corso dell'Irtys, in breve tempo prese Bukhara, Samarcanda e numerose altre importanti città e portò a termine la conquista dell'intero Iran orientale, del Khorasan e dell'Afghanistan. Dopo aver sconfitto anche l'avversario più tenace, lo shâh del Khorezm si ritirò verso oriente lasciando ai due suoi generali, Jebe e Subotai, la prosecuzione delle operazioni verso occidente. Questi si spinsero verso la Russia meridionale, vincendo ogni resistenza e sconfiggendo sul fiume Kalka, nel 1223, la federazione dei principi russi, per poi ricongiungersi, passando a nord del Caspio e dopo aver devastato la Crimea e i territori degli Urali, con Gengis Khan. Egli però morì improvvisamente nel 1227, quando si accingeva a terminare la conquista dell'impero cinese. Spesso dipinto dalle fonti letterarie come esempio di crudeltà e di forza devastatrice, Gengis Khan mostrò in realtà una notevole abilità politica, conferendo unità e stabilità a un'organismo statuale gigantesco ed eterogeneo, riconoscendo il valore della civiltà delle popolazioni vinte (e utilizzandone molti elementi nell'ambito del governo), mostrando un atteggiamento tollerante verso le diverse convinzioni religiose e aprendo la possibilità, attraverso la pax mongolica instaurata nel suo impero, di una fertile comunicazione tra civiltà d'Oriente e d'Occidente.
mercoledì 16 settembre 2009
SAIR Principessa Yasmin di Svevia Hohenstaufen Avril Bourcane Khan

Il Giornale 8 settembre 09
Chi è
La principessa Ira Yasmin Aprile von Hohenstaufen Puoti ha un nome lungo, e composito, almeno quanto il curriculum che mette in evidenza un albero genealogico di quelli che fanno sobbalzare: la principessa si presenta infatti come ultima discendente di Federico II di Svevia e Isabella d’Inghilterra. Ma non solo. Perché della principessa tutto si può dire, tranne che si sia rinchiusa in un castello a godersi il proprio sangue blu in panciolle. Lo sterminato curriculum pubblicato sul blog a lei dedicato riporta esperienze in campo giornalistico, culturale, umanistico, internazionale e manageriale. Si legge: addetta stampa di ministeri italiani, general manager del Reader’s Digest, «scienziata, epistemologa, allieva di Lacan, psicopedagoga e semiologa». E ancora: «Ha espletato delicatissime funzioni per la sicurezza e per la Cia». E, come se non bastasse, «ha tenuto seminari presso le più prestigiose accademie e università».
Principessa Yasmin di Svevia rivuole Castel del Monte -Il Giornale 8 sett.09
La principessa di Svevia rivuole Castel del Monte «L’Italia non lo sa curare»
di Manila aiuto L’aria di tempesta nel comune di Andria l’avevano già fiutata un paio di giorni fa. La principessa Yasmin Aprile Von Hohenstaufen, diretta discendente di Federico II, «erede e titolare legittima dell’antico Regno di Sicilia» stava tornando. Della nobildonna ne avevano già sentito parlare. Lei è la stessa che rivendica una parentela direttamente con Gesù. L’obbiettivo, questa volta è la riconquista del Castel del Monte, costruito dal suo antico parente, l’imperatore Federico II, nel XIII secolo dove, sempre secondo Yasmin, sarebbero custoditi i resti di Gesù. Così ad Andria quando è arrivato il telegramma della principessa nessuno si è scomposto più di tanto. Nemmeno il sindaco, Vincenzo Zaccaro. «Fosse la prima volta. Ma non sono l’unico ad aver ricevuto posta, racconta Zaccaro». L’altro telegramma arriva sul tavolo del Procuratore della Repubblica di Andria. La nobildonna è determinata: «Castel del Monte è in stato di estremo degrado, ne chiedo quindi la restituzione». La battaglia è aperta. La principessa rivuole il suo maniero e lo pretende per motivi più che nobili che spiega lei stessa: «Decaduto per l’incuria a simbolo di stupore dell’ignominia, sarà destinato a onfalos della sapienza, scienza, centro della pace e dialogo tra i popoli, nonchè polo di eccellenza ricerche energie alternative contro il cancro». Ma non solo. È sempre la Von Hohenstaufen che spiega: «Il Castello reclama la mobilitazione dei Grandi Saggi e paradossalmente l’appello agli intellettuali, agli spiriti eletti, scienziati e poeti, artisti, mistici...». Il sindaco Zaccaro intanto allarga le braccia e sbuffa: «Ci risiamo». C’è una vecchia conoscenza tra i due. Senza simpatia. «Per quanto demenziale appaia la richiesta, non è con me che la signora deve parlare. Il castello non è di Andria ma dello Stato. Quindi se la principessa lo rivuole, si prepari a ripagare allo Stato e la Sovrintendenza di tutto il denaro investito per la manutenzione del momento che è un bene dell’Unesco».
Il castello federiciano e le sue pertinenze infatti furono acquistate dallo Stato italiano nel 1876 per venticinquemila lire dal Duca Carafa di Andria. «Al massimo la signora - sottolinea il sindaco - dovrebbe scrivere al ministro Bondi». Una vecchia ruggine quella tra il primo cittadino e la nobile, costellata da tanti piccoli litigi. «Mi ricordo soprattutto di quella causa che aveva intentato contro la Fiat. All’epoca - spiega il primo cittadino - la signora voleva un rimborso miliardario perché nessuno gli aveva chiesto il permesso di utilizzare l’immagine del castello che appariva per un secondo nella pubblicità di un’auto». E poi? «Ovviamente la perse. Pensavamo di essercene liberati ma ecco che ora torna alla carica». Ma il sindaco non sembra il solo ad aver avuto problemi con la principessa. Il presidente della Fondazione Federico II Hohenstaufen di Iesi, prende subito le distanze e assicura: «Io con la principessa non ho niente in comune. Abbiamo litigato tempo fa, ha minacciato di farmi causa». Poi, in tarda serata la svolta. Arriva la lettera della principessa che da Montecarlo spiega: «L’esigenza del telegramma al comune era doverosa dal punto di vista della comunicazione immediata, in quanto tempestiva notifica di ricognizione storico. Il degrado emerso dai media era una ferita viva, perché da anni ho mobilitato energie per includere Castel del Monte quale patrimonio dell’umanità». Insomma una richiesta del tutto legittima. Tanto che poi la nobildonna ci tiene a precisare: «Alcuna rivendicazione monarchica vi è in tale gesto!». Parola di principessa.
di Manila aiuto L’aria di tempesta nel comune di Andria l’avevano già fiutata un paio di giorni fa. La principessa Yasmin Aprile Von Hohenstaufen, diretta discendente di Federico II, «erede e titolare legittima dell’antico Regno di Sicilia» stava tornando. Della nobildonna ne avevano già sentito parlare. Lei è la stessa che rivendica una parentela direttamente con Gesù. L’obbiettivo, questa volta è la riconquista del Castel del Monte, costruito dal suo antico parente, l’imperatore Federico II, nel XIII secolo dove, sempre secondo Yasmin, sarebbero custoditi i resti di Gesù. Così ad Andria quando è arrivato il telegramma della principessa nessuno si è scomposto più di tanto. Nemmeno il sindaco, Vincenzo Zaccaro. «Fosse la prima volta. Ma non sono l’unico ad aver ricevuto posta, racconta Zaccaro». L’altro telegramma arriva sul tavolo del Procuratore della Repubblica di Andria. La nobildonna è determinata: «Castel del Monte è in stato di estremo degrado, ne chiedo quindi la restituzione». La battaglia è aperta. La principessa rivuole il suo maniero e lo pretende per motivi più che nobili che spiega lei stessa: «Decaduto per l’incuria a simbolo di stupore dell’ignominia, sarà destinato a onfalos della sapienza, scienza, centro della pace e dialogo tra i popoli, nonchè polo di eccellenza ricerche energie alternative contro il cancro». Ma non solo. È sempre la Von Hohenstaufen che spiega: «Il Castello reclama la mobilitazione dei Grandi Saggi e paradossalmente l’appello agli intellettuali, agli spiriti eletti, scienziati e poeti, artisti, mistici...». Il sindaco Zaccaro intanto allarga le braccia e sbuffa: «Ci risiamo». C’è una vecchia conoscenza tra i due. Senza simpatia. «Per quanto demenziale appaia la richiesta, non è con me che la signora deve parlare. Il castello non è di Andria ma dello Stato. Quindi se la principessa lo rivuole, si prepari a ripagare allo Stato e la Sovrintendenza di tutto il denaro investito per la manutenzione del momento che è un bene dell’Unesco».
Il castello federiciano e le sue pertinenze infatti furono acquistate dallo Stato italiano nel 1876 per venticinquemila lire dal Duca Carafa di Andria. «Al massimo la signora - sottolinea il sindaco - dovrebbe scrivere al ministro Bondi». Una vecchia ruggine quella tra il primo cittadino e la nobile, costellata da tanti piccoli litigi. «Mi ricordo soprattutto di quella causa che aveva intentato contro la Fiat. All’epoca - spiega il primo cittadino - la signora voleva un rimborso miliardario perché nessuno gli aveva chiesto il permesso di utilizzare l’immagine del castello che appariva per un secondo nella pubblicità di un’auto». E poi? «Ovviamente la perse. Pensavamo di essercene liberati ma ecco che ora torna alla carica». Ma il sindaco non sembra il solo ad aver avuto problemi con la principessa. Il presidente della Fondazione Federico II Hohenstaufen di Iesi, prende subito le distanze e assicura: «Io con la principessa non ho niente in comune. Abbiamo litigato tempo fa, ha minacciato di farmi causa». Poi, in tarda serata la svolta. Arriva la lettera della principessa che da Montecarlo spiega: «L’esigenza del telegramma al comune era doverosa dal punto di vista della comunicazione immediata, in quanto tempestiva notifica di ricognizione storico. Il degrado emerso dai media era una ferita viva, perché da anni ho mobilitato energie per includere Castel del Monte quale patrimonio dell’umanità». Insomma una richiesta del tutto legittima. Tanto che poi la nobildonna ci tiene a precisare: «Alcuna rivendicazione monarchica vi è in tale gesto!». Parola di principessa.
Principessa Yasmin di Svevia rivuole Castel del Monte
Ecco il telegramma spedito a pm e Comune di Andria
Il Giornale 8.sett.09
«Avendo appreso dell’estremo degrado di Castel del Monte al punto che è stato escluso anche dai benefici, rischiando di essere escluso anche dai siti patrimonio dell’umanità Unesco, ai sensi autotutela di un patrimonio dinastico reliquiario monastico di valenza graalica della santa progenie sicena sveva su cui non vige uso capione in quanto bene monastico reliquiario imprescrittibile ed irrinunciabile, invano inserito per volontà della legittima erede nel patrimonio Unesco, essendo decaduto per l’incuria a simbolo di stupore dell’ignominia, si intima il Comune di Andria e la regione a restituzione con messa in mora, hic et nunc del castrum e pertineneze alla legittima erede di Federico II e Isabella d’Inghilterra, il cui cognome è nei certificati anagrafici e storici Aprile Von Hohenstaufen Puoti ovvero Avril de Saint Genis Staufer d’Anjou Buren Hohenstaufen, onde la legittima erede restituisca l’agalmonia e il palinsesto di calice del Graal, sigillo della sacra scienza destinandolo quale onfalos della sapienza, scienza, centro della pace e dialogo tra i popoli nonché polo di eccellenza ricerca energia alternative e contro il cancro. Per una memoria del futuro, essendo il castello per volontà di Federico II scrigno delle reliquie di Cristo da noi ereditate».
In fede
Principessa Yasmine
Aprile Von Hohenstaufen
(Fondazione Hohenstaufen)
Il Giornale 8.sett.09
«Avendo appreso dell’estremo degrado di Castel del Monte al punto che è stato escluso anche dai benefici, rischiando di essere escluso anche dai siti patrimonio dell’umanità Unesco, ai sensi autotutela di un patrimonio dinastico reliquiario monastico di valenza graalica della santa progenie sicena sveva su cui non vige uso capione in quanto bene monastico reliquiario imprescrittibile ed irrinunciabile, invano inserito per volontà della legittima erede nel patrimonio Unesco, essendo decaduto per l’incuria a simbolo di stupore dell’ignominia, si intima il Comune di Andria e la regione a restituzione con messa in mora, hic et nunc del castrum e pertineneze alla legittima erede di Federico II e Isabella d’Inghilterra, il cui cognome è nei certificati anagrafici e storici Aprile Von Hohenstaufen Puoti ovvero Avril de Saint Genis Staufer d’Anjou Buren Hohenstaufen, onde la legittima erede restituisca l’agalmonia e il palinsesto di calice del Graal, sigillo della sacra scienza destinandolo quale onfalos della sapienza, scienza, centro della pace e dialogo tra i popoli nonché polo di eccellenza ricerca energia alternative e contro il cancro. Per una memoria del futuro, essendo il castello per volontà di Federico II scrigno delle reliquie di Cristo da noi ereditate».
In fede
Principessa Yasmine
Aprile Von Hohenstaufen
(Fondazione Hohenstaufen)
sabato 16 maggio 2009
Mysteres des Cathedrales et Alchimistes auteur Yasmin von Hohenstaufen ed. Saint Genis

Les Mysteres des Cathedrales de Yasmin von Hohenstaufen
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Pourquoi questionner sur l'authenticité de l’adeptat de Fulcanelli ?
Lorsqu'on n'a pas la chance de rencontrer un maître vivant, possesseur du secret et de la sagesse, il faut au moins que les textes publiés soient l'œuvre d'un adepte. Pour ce qui concerne Le Mystère des Cathédrales et Les Demeures Philosophales, apparus dès le début de ce siècle, c'est le préfacier qui les a attribués à un adepte sans que ce dernier l'ait reconnu lui-même. Or, l'apprenti alchimiste qui a lu les quelques textes des siècles précédents traduits du latin ou d'une autre langue n'est pas sans savoir que leurs auteurs, sous le couvert de l'anonymat, ont toujours laissé entendre au lecteur, expressément ou symboliquement, qu'ils avaient réussi — sans oublier de rendre à Dieu l'hommage qui lui est dû, afin que ce dernier puisse se fier à ce qui est écrit. Dans ce domaine, il n'est guère possible de mentir ; l'enjeu métaphysique est trop important car il y va du Salut.
Prenons quelques exemples.
Au XIVe siècle , Nicolas Flamel, dans Le Livre des Figures Hiéroglyphiques écrit : « Donc la première fois que je fis la Projection [...] Ce fut le 17 janvier, un lundi environ midi en ma maison, en présence de Perrenelle seule, l'an de la restitution de l'humain lignage mil trois cent quatre vingt deux. » et encore : « Loué soit Dieu éternellement, qui nous a fait voir cette belle et toute parfaite couleur de pourpre, [...] cette couleur tyriene étincelante et flamboyante, qui est incapable de changement et d'altération.»
Au XVe siècle est placée la naissance de Basile Valentin, dont les manuscrits apparaissent au XVIe. Dans De la Grande Pierre des Anciens Sages, il dit au lecteur : « Ne dédaigne pas, ni ne méprise, ô mon ami, les livres véridiques de ceux qui eurent la Pierre avant nous, car, après la révélation de Dieu, c'est d'eux que je la détiens.»
Au XVIe siècle, Le Traité de la Pierre Philosophale de Lambsprinck, où, dans l'avant-propos, on lit : « Je m'appelle Lambspring [...] J'ai compris clairement la Sagesse et je suis parvenu par l'Art jusqu'à son fondement, car Dieu m'a dispensé sa Grâce et m'a donné le savoir avec l'entendement. »
Au XVIIe siècle, Philalèthe, dans L'entrée ouverte au palais fermé du roi : « Ayant pénétré, moi, Philalèthe, philosophe anonyme, les arcanes de la médecine [...] j'ai décidé de rédiger ce petit traité, l'an 1645 de la Rédemption du monde et le trente-troisième de mon âge, afin d'acquitter ce que je dois aux fils de l'Art, etc. »
Au XVIIIe siècle, Solidonius, dans Figures secrètes des Égyptiens : En début d'ouvrage, Solidonius est qualifié de « Maître des éléments », puis en fin de traité, il écrit : « J'ai reconnu par expérience qu'il faut préparer le métal sur lequel vous ferez projection qui ouvre ledit métal et le rende capable de recevoir la semence de cette poudre pour lui faire naître en nouveau soleil. »
Dans mon Fulcanelli Dévoilé (Éditions Dervy), j'ai dit mon sentiment au vue de pièces obtenues à force de patience. J'avais à cœur d'atteindre une vérité qui ne se satisfasse pas de leurres : les leurres, c'est bien connu, sont notre lot quotidien et on les reconnaît à ce qu'ils ne mènent guère loin. Il est écrit : « La vérité vous sauvera. » En l'occurrence, la vérité alchimique apparaît, dépouillée de tout son folklore. Foin d'immortalité physique, de mondes parallèles, de richesse. L'approche de la connaissance hermétique demande de se libérer de croyances ayant pour but de coaguler notre petite personne au lieu d'en envisager la dissolution. Se fixer d'atteindre la longévité physique ou la richesse matérielle par le Grand Œuvre dénote une incompréhension majeure car il s'agit comme dans tout processus initiatique, d'une mort à la vie mondaine par la connaissance pratique du principe qui nous anime.
Ces documents, donc, me sont toujours arrivés providentiellement parce que je les cherchais comme on entreprend une quête magique et à ce titre, tout sur ce chemin faisait sens : synchronicité, rêves prémonitoires, injonctions de l'invisible...
Pour l'alchimie, la question d'une filiation est essentielle, car malgré ce que prétendent les alchimistes contemporains, on ne tient pas de soi, on tient d'un autre qui lui-même le tient d'un autre et ainsi sans fin à l'infini : il n'y a pas de génération spontanée. Ce qui fait qu'il s'agit de quelque chose qui est sorti du temps et de son usure caractéristique et donc tout autant ancienne que futuriste. Dans cette filiation, chaque maillon est forcément marqué par son époque, mais c'est la part de nous amenée à mourir.
C'est en cherchant Fulcanelli que j'ai trouvé Pierre Dujols de Valois, et en m'intéressant à ce dernier, j'ai été conduite tout droit à Henri Coton-Alvart.
Pierre Dujols s'est distingué en publiant en 1914 une introduction au Mutus Liber sous le pseudonyme de Magophon. En lisant ce superbe texte, on remarque que les exemples choisis se retrouvent tous dans les ouvrages attribués à Fulcanelli... La technique très particulière de cabale phonétique basée sur l'étymologie grecque qui donne des informations sur la pratique du Grand Œuvre est identique.
Le nostoc, par exemple, dont parle Fulcanelli en 1926 à propos de la rosée céleste, tandis que Dujols développe le flos cœli et le nostoc.
Autre exemple peu banal, l'appellation « frères de la rosée cuite » à propos des Rose-Croix selon le témoignage de Thomas Corneille qui est aussi utilisée dans les ouvrages de Fulcanelli.
Cela confirme ce que disait Henri Coton, qui avait eu pour maître Pierre Dujols, que les notes de ce maître en hermétisme avaient été utilisées par Champagne à la mort de ce dernier et mises en forme pour constituer les « Fulcanelli ». Pierre Dujols avait donné à lire ses notes à Henri Coton et c'est ce qui avait permis à ce dernier, en 1926, à la parution du Mystère des Cathédrales, de se faire une opinion.
Pierre Dujols fut le dernier descendant des Valois. Il naquit en 1862 à St-Illide dans le Cantal. Sa famille s'étant installée à Marseille, puis à Aix-en Provence, il fit dans cette ville de solides études classiques chez les Jésuites. Il devint journaliste à Marseille puis à Toulouse. Il s'installa ensuite à Paris, où il ouvrit une librairie à l'enseigne de « La Librairie du Merveilleux ».
Effectivement, Madame Dujols avait des dons peu communs ; notamment elle faisait des rêves prémonitoires. Elle était native d'Hennebont en Bretagne, où la famille allait passer des vacances. Ceci n'est pas sans rappeler la fameuse bague que Fulcanelli aurait reçue de la commanderie templière de ce même lieu. D'ailleurs, Pierre Dujols s'intéressait beaucoup à la Chevalerie et aux Templiers. Sur sa tombe, dans la région parisienne, figure une croix pattée. Il décéda en 1926.
Henri Coton-Alvart était fort jeune lorsqu'il rencontra Pierre Dujols. Né en 1894, il avait 20 ans lorsqu'il commença à fréquenter les groupes d'hermétistes, mais il s'intéressait déjà au Grand Œuvre. Il commença à travailler comme peintre en héraldique. Il avait le tempérament artistique de son père, qui était sculpteur.
Il avait inventé un procédé pour récupérer l'argent des plaques photographiques et pendant un certain temps, il gagna ainsi sa vie.
Par la suite, il fut engagé comme chimiste dans une société qui fabriquait des explosifs. Il s'y distingua tellement, en faisant profiter la maison qui l'employait des nombreux brevets qu'il avait inventés, qu'il fut nommé ingénieur-maison et finit par participer au conseil d'administration de cette grosse société. Lorsqu'à sa retraite, il se retira dans les Charentes, à Taillebourg, il se rendait encore chaque année à Paris pour présider à la réunion de ce conseil d'administration. Pendant toutes les années qu'il passa à Paris, il avait fait partie de divers groupements, comme les Veilleurs, fondés par Schwaller, la Société Théosophique où il avait rencontré ce dernier, et Atlantis, enfin, où il donna quelques articles de premier ordre sur l'alchimie à la revue. Paul Le Cour ne s'y était pas trompé en écrivant un article élogieux sur lui.
À Nice, il était l'invité d'honneur de la comtesse Prozor, fervente anthroposophe, qui recevait l'été, dans sa propriété de Cimiez, le gratin parisien de l'ésotérisme et de l'hermétisme. Puis en 1922, à l'âge de 28 ans, il abandonna le dernier groupe auquel il était attaché, les Veilleurs, ne suivant pas ses membres et leur président, René Schwaller, en Suisse, où ils allaient créer un centre de recherches autour des arts et de l'alchimie : Suhalia...
Il poursuivait ses travaux alchimiques, notamment dans un laboratoire qu'il possédait à côté de St-Paul-de-Vence, où résidaient ses amis Elmiro et Rose Celli. Il était alors marié à Claire Lafitte, dont la famille, très aisée, était dans la finance. Un fils leur naquit : Hugues, sculpteur, peintre et praticien en médecine chinoise.
Puis ce fut la rupture définitive avec tout le milieu ésotérique de l'époque : Dujols était décédé en 1926, Milosz, l'homme qu'il admirait profondément, avait eu une expérience mystique qui lui aussi l'avait éloigné.
En 1960, Henri Coton transfèra son laboratoire à Taillebourg, dans la petite maison près de la rivière où il prit sa retraite, et là, totalement retiré du monde, sans TSF, télévision, journaux, recevant simplement un médecin aveugle de Lyon qui fut président d'Atlantis, le Dr Hollier, son ami intime le Dr Emerit, et son disciple Henri La Croix Haute. (Hollier a d'ailleurs écrit un ouvrage consacré aux travaux d'Henri Coton : Le Tohu Bohu.) Il échangeait aussi une correspondance avec le docteur Gifreda de Barcelone qu'il guida également.
Dans cet ermitage, au milieu d'une population qui protégeait sa solitude, il étudiait et méditait sans relâche. Il avait appris le sanscrit et l'hébreu pour vérifier les textes qu'il avait découverts et recopiés en bibliothèque. Ses recherches en alchimie l'amenèrent à s'intéresser à la gravitation, à la lumière, et aux grands problèmes métaphysiques. Il accéda à l'Adeptat dans les années 1970. Dès lors, il poursuivit sa vie avec sagesse, éveillé tel un véritable Rose-Croix, laissant derrière lui, à sa mort en 1988, des écrits que nous eûmes, pour une infime partie seulement, la licence de publier sous le titre Les Deux Lumières. Lui-même n'avait jamais chercher à faire éditer ses travaux, ce qui explique qu'il n'a pas ordonné ses écrits dans ce sens ni pensé à les présenter à la postérité.
Enfin, pour conclure, voici ce que cet être exceptionnel écrivait sur le Grand-Œuvre alchimique : « Le monde créé contient en lui un principe hostile qui a provoqué l'événement qualifié de chute. Ce monde montre en toutes ses parties un dramatique mélange de vie et de mort, de sagesse et d'absurdité. La notion centrale de l'hermétisme est l'intervention efficace, curative et prépondérante de l'unité manifestée pour surmonter le facteur pathogène du monde. Mystiquement, c'est le Christ (Louis Cattiaux, dans son admirable Le Message retrouvé, ne dit pas autre chose, lui qui réalisa le Grand-Œuvre sans faire de bruit) ; physiquement, c'est la pierre philosophale. Elle existe partout présente, car sans une étincelle de cet agent, il n'y aurait ni vie ni permanence. La pierre philosophale n'est ni une création ni une fabrication de l'alchimiste. Tout ce que celui-ci peut faire est de la prendre là où elle est, la rassembler, la séparer de sa gangue, la purifier, la placer dans son vaisseau et suivant le cas l'administrer à qui en bénéficiera ou la renvoyer dans sa pureté de lumière au monde céleste d'où elle est venue. »
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BIBLIOGRAPHIE
Henri La Croix-Haute, Le Mercure Dauphinois, 2001
«Les Nobles Écrits»
de Pierre Dujols et de son frère Antoine Dujols de Valois
Introduction au Mutus Liber de Magophon
Le Mercure Dauphinois, 2000
«Ces Hommes qui ont fait l’alchimie du XXe siècle»
Le Mercure Dauphinois, 1999
«Les Deux Lumières»
Henri Coton-Alvart, Editions Dervy, 1996
lunedì 5 gennaio 2009
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